L’etimologia del nome potrebbe derivare da "rumbullion" (trambusto) forse per ricordare la "vivace" fermentazione che è all'origine di questo distillato, forse per alludere alle risse che il suo consumo produceva tra i pirati, o dal nome botanico della canna da zucchero, conosciuta come “Saccarum”, fin dal tempo dei romani. Le prime notizie ufficiose sulla distillazione del rum risalgono alla fine del ‘500, un secolo dopo l’arrivo degli spagnoli e della canna da zucchero nei caraibi. Fonti tuttora da verificare parlano di un frate spagnolo che produsse a Cuba, con alambicchi di scuola francese, un primo distillato di succo di canna da zucchero, mentre gli inglesi ne reclamano i natali alle Barbados, presso la prima distilleria dell’isola.
Per arrivare alle notizie ufficiali sul rum dobbiamo aspettare ancora un secolo, quando, alla fine del 1600, in Martinica, un frate francese di nome Jean Baptiste Labat produsse la prima partita di acquavite di canna da zucchero, utilizzando un alambicco di tipo Charentaise originario di Cognac.
Il frate dominicano fu un famoso dottore in matematica dell’Università di Nancy e ad un certo punto della sua vita abbandonò la carriera per dedicarsi alla vita da missionario. Nel 1694 sbarcò in Martinica dove gli venne affidata la parrocchia di Macouba, dove costruì una chiesa, case, edifici ed una piccola distilleria. Il primo nome dato al distillato fu “tafia”, ma in altre fonti successive si trova anche “guildive”.
Il termine Tafia si ritrova come radice comune, in molte preparazioni liquoristiche di tradizione europea, come ratafià che indica l’infusione di vari tipi di frutta in alcool. E’ molto probabile che trattandosi di alcool di origine vegetale Labat abbia preso ispirazione per battezzare il frutto del suo lavoro. Il rum ebbe inizialmente un consumo locale fortemente radicato sul territorio, diventando la bevanda alcolica simbolo di pirati e corsari, con caratteristiche organolettiche piuttosto povere. Grazie al Proibizionismo (1919 – 1933), che vietava la produzione e il consumo di alcool sul suolo americano, il rum ebbe un improvviso boom di richieste, sia come prodotto da esportazione clandestina per approvvigionare i bar sprovvisti di bourbon, sia interna, grazie alla massa di turisti in fuga dal divieto di bere che trovavano rifugio a Cuba o in Giamaica. Il rum introdotto illegalmente in America veniva utilizzato negli eleganti bar denominati “speakeasy” ed era consumato principalmente nei cocktail. La fine del proibizionismo vide la nascita di un altro importante fenomeno per la diffusione del rum sul suolo americano, la “TiKi era”, epoca caratterizzata dalla nascita di decine di locali di stile caraibico all’interno dei quali veniva somministrato quasi esclusivamente rum miscelato in decine di cocktail. I magazzini erano pieni di rum che andava necessariamente venduto e smaltito, tanto che in quel periodo la totalità dei cocktail creata vedeva l’uso di rum bianchi ed invecchiati insieme.
Per comprenderne al meglio la varietà organolettica e districarsi tra le miriadi di prodotti che il mercato offre è bene ricordare fin da subito che la canna da zucchero è originaria in realtà dell'Asia occidentale, in quella zona che potremmo indicare grosso modo con India e Filippine, e che solo grazie ad un geniale intuito di Cristoforo Colombo iniziarono a coltivarla nel Nuovo Mondo dando così vita a quelle che oggi sono circa cento varietà di canna da zucchero presenti sul territorio americano. I veri natali quindi del rum vanno ricercati in quella fascia di terra bagnata dall'Oceano Indiano, dove da tempo immemore gli autoctoni erano soliti distillare il succo di canna da zucchero per un consumo prettamente locale.
Con il colonialismo Francia, Inghilterra, Spagna iniziarono un florido e agguerrito commercio di zucchero tra nuovo e vecchio mondo. La sua produzione nelle colonie americane aveva fatto crollare i costi di produzione e reso molto più facile reperire materia prima. Il problema era tuttavia liberarsi del materiale di scarto, la melassa, poiché attirava insetti e animali nelle aziende di produzione. Questo fu uno dei motivi per cui si iniziò fin dai primi tempi a distillare lo scarto della lavorazione dello zucchero, al fine di liberarsi di qualsiasi sostanza zuccherina che potesse in qualsiasi modo portare fastidi alle popolazioni delle colonie.
La produzione di rum (rhum nella dicitura francese, ron in quella spagnola) varia molto a seconda della cultura liquoristica dei colonizzatori. In generale possiamo dire che ciascun popolo tendeva ad ottenere un rum con caratteristiche più simili possibili a quelle del distillato madre in patria: le colonie inglesi si rifacevano alla produzione di whisky, quelle spagnole alla produzione del brandy, quelle francesi alla produzione di cognac. E in linea di massima queste differenze, nelle tecniche produttive, nella scelta degli alambicchi e dell'eventuale metodo di produzione, sono rimaste tali anche ai giorni nostri.
Il raccolto della canna da zucchero resta tuttavia pressoché uguale in tutto il territorio americano. Moltissimi coltivatori danno fuoco alla piantagione prima del raccolto: la canna non subirà particolari danni grazie al suo altissimo contenuto di liquidi mentre fuoco e fumo metteranno in fuga temibili scorpioni e serpenti che ogni anno causano morti tra i lavoratori. Secondo alcuni questa tecnica permette di ottenere gradevoli sentori di caramello nella produzione finale di rum, mentre altri la reputano molto dannosa per l'ecosistema e per questo preferiscono il taglio "verde", cercando di prendere le dovute precauzioni contro il pericolo degli animali che si nascondono tra le canne. Da qualche anno, specialmente le aziende più grandi, si è iniziato ad utilizzare macchinari come mietitrebbie per il raccolto, ma sono ancora casi sporadici limitati ai grandi produttori. In ogni caso tutti concordano che condizione base per ottenere rum di qualità è che la produzione avvenga in prossimità dei campi di canna da zucchero poiché, come accade per l'uva, l'ossidazione parte subito dopo il raccolto e fa perdere molti profumi e aromi fin dai primi minuti. Gli stili dei rum prodotti derivano direttamente dalle tecniche produttive dei distillati dei paesi d’origine, pertanto nelle colonie anglofone avremo l’utilizzo di alambicchi discontinui da whisky, in quelle francesi un misto di stili dettato dalla differente distillazione utilizzata per armagnac e cognac, mentre per la scuola spagnola avremo gli alambicchi continui a piatti, utilizzati a Xeres per la produzione di robusti brandy. Anche la scelta della materia prima sarà a discrezione dei singoli produttori, ma l’utilizzo di piccoli alambicchi discontinui da Cognac, sottintende la necessità di utilizzare una materia prima più delicata e nobile, costituita dal succo vergine di canna da zucchero. Gli alambicchi continui sia essi a piatti che a colonna utilizzeranno tendenzialmente una materia meno delicata come la melassa fermentata in modo da sfruttare la canna da zucchero prima per la produzione di zucchero e solo con lo scarto la produzione di rum. Tutto questo in linea generale, fermo restando la volontà e le scelte di qualità di ciascun produttore.
SUDDIVISIONE DEI RUM E LETTURA DELLE ETICHETTE
I rum si suddividono, ancora prima che per la zona di produzione, in due grandi categorie a seconda della materia prima da cui si parte.
-i rum agricoli, prodotti partendo dal succo della canna da zucchero lasciata fermentare. Questo metodo prevede quindi che non vi sia produzione di zucchero ma la materia prima viene subito utilizzata con lo scopo di produrre subito rum.
-rum industriali, termine oggi leggermente fuorviante, per indicare i rum prodotti dalla fermentazione della melassa ottenuta dopo la produzione dello zucchero. In passato questa tecnica era indiscutibilmente legata ai prodotti industriali; oggi annoveriamo tra i grandi rum anche alcune produzioni ottenute dalla melassa che nulla hanno da invidiare ai rum agricoli (seppur con caratteristiche organolettiche differenti).
E' bene ricordare che alcuni produttori, al fine di ottenere rum di carattere e personalità (come gli agricoli) ma con una beva più morbida e sorniona (come quelli prodotti da melassa) preferiscono miscelare acqueviti ottenute da fermentazione del succo di canna da zucchero a quelle ottenute dalla fermentazione della melassa, collocandosi quindi a metavia tra le due grandi categorie di rum.
L'etichettatura dei rum è tra le cose più libere e prive di regolamentazione che troviamo in liquoristica e purtroppo bisogna affidarsi più al buon senso, alla conoscenza del prodotto e al palato piuttosto che a quanto dichiarato in etichetta. Al contrario dei whisky per esempio l'indicazione di un anno di invecchiamento non garantisce affatto che quanto stiamo bevendo sia invecchiato almeno quanto dichiarato in etichetta: ci indica soltanto che nel blend di acqueviti che compongono quel rum c'è la presenza anche di quell'invecchiamento. Ad onor del vero non bisogna tuttavia dimenticare che alcuni produttori utilizzano il metono usato per i whisky (si indica l'acquavite più giovane) o addirittura imbottigliano un'acquavite esclusivamente invecchiata gli anni indicati (in questo caso tuttavia è quasi sempre ben specificato).
I rum di pronta beva, fatti semplicemente riposare qualche mese in acciaio e con un breve passaggio in legno sono generalmente etichettati come “carta blanca”, “plata” “blanco” o simili termini. In alcune produzioni di alta qualità compaiono anche gli anni di invecchiamento che solitamente sono una media non troppo precisa degli invecchiamenti delle varie acqueviti presenti in bottiglia.
Gli invecchiamenti minori, frutto di blend di annate diverse, vengono definiti come “anejo”, “especial” e “reserva” e “gran reserva” per quelli con maggior quantità di acqueviti molto vecchie. La maggioranza delle riserve non superano gli 8 anni di invecchiamento medio, con rare eccezioni. Questo tipo di procedura ricorda quella del cognac, dove la figura del maitre de chais, così come il mastro ronero, ha una funzione fondamentale per dare il gout maison, ovvero l’impronta caratteristica al prodotto.
L'invecchiamento è una fase che nasce fin dai primi anni prevalentemente per il palato europeo, mentre nei territori di produzione il consumo è sempre stato prevalentemente di rum non invecchiato. Le tecniche di invecchiamento sono le più disparate e si rifanno sempre alle tecniche europee, partendo dall'invecchiamento in botti di rovere bianco, fino all'invecchiamento in botti "ex..." per arricchire di sfumature ulteriori l'aroma finale. Si va dalle grandi tonneau fino al metodo solera tipico dell'invecchiamento dei brandy spagnoli.
Anche la colorazione non deve trarre in inganno perché, fatto salvo per l'AOC "ron de Venezuela" che limita adun massimo del 5% l'utilizzo di caramello, nel resto del mondo non vi sono limiti e persino rum non invecchiati possono essere imbottigliati molto scuri grazie all'abbondante utilizzo di caramello.
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